Caterina Sforza a Imola e Forlì
Articolo sinteticamente tratto da De Rerum Historia N° 6 - Ottobre 2009
Caterina Sforza è forse uno dei personaggi più amati e ricordati da coloro che oggi vivono nelle terre che furono sue, in particolare a Imola e Forlì, ma forse non a tutti è noto il ruolo di primo piano che questa coraggiosa donna ricoprì non solo sulla scena politica romagnola ma anche in quella italiana e internazionale, in un periodo in cui ogni piccolo Stato era legato agli altri dai sottili fili delle alleanze, delle parentele e degli interessi economici in un equilibrio quanto mai precario.
A partire dalla seconda metà del Quattrocento, in Italia si era finalmente raggiunta una tregua grazie alla Pace di Lodi, stipulata nel 1454, che sanciva la fine dello scontro tra Venezia e Milano, aggravatosi a causa delle mire espansionistiche della Serenissima. Questa soluzione si era dimostrata indispensabile soprattutto per il timore di un attacco da parte delle potenze straniere, in particolar modo della Francia.
I quarant’anni di pace che seguirono permisero, grazie a una crescente prosperità, lo sviluppo delle arti e della letteratura.
L’infanzia e il primo matrimonio
Fu proprio pochi anni dopo questi accordi di pace, nel 1463, che vide la luce Caterina Sforza: suo padre era Galeazzo Maria Sforza, Duca di Milano, mentre sua madre era Lucrezia Landriani, una nobildonna sposata con cui Galeazzo aveva avuto una relazione extra-coniugale.
L'infanzia e il primo matrimonio
Mentre Caterina era ancora bambina e viveva la sua infanzia a Milano, i meccanismi che la avrebbero portata ad un matrimonio precocissimo iniziarono a muoversi: nel 1471 divenne papa Sisto IV, un uomo spregiudicato che non esitò a collocare i parenti più stretti in posizioni di comando.
Anche Girolamo Riario, nipote del pontefice, finì per diventare un utile strumento per lo zio: si stabilì così il matrimonio tra Caterina e Girolamo, che permise di ricucire l’alleanza tra Roma e Milano, dopo gli attriti per la conquista milanese di Imola.
Girolamo prese possesso di Imola, venduta dagli Sforza a 40.000 fiorini d’oro, mentre Caterina attese a Milano il compimento del quattordicesimo anno per poter raggiungere il marito, che la portò poi con sè alla corte pontificia.
Nel 1479, Caterina partorì il primo degli otto figli, Ottaviano. Nel 1481 i signori Riario furono costretti ad abbandonare Roma per trasferirsi a Forlì, città conquistata pochi anni prima per volere del papa, in modo da rafforzare il potere pontificio in Romagna: in questa occasione, ad Imola presero inizio diversi lavori di restauro e l’ampliamento della rocca.
Solo tre anni dopo però la morte di Sisto IV segnò il declino del potere dei Riario: in particolare, le manie di grandezza di Girolamo, la sua violenza e la sua sbruffoneria, accompagnate da una viltà e da una insicurezza che si rivelavano nei momenti più delicati, non vennero più tollerate. Il nuovo papa, Innocenzo VIII, lo riconfermò signore di Forlì, ma di fatto lo relegò nella piccola Signoria.
L’ascesa al potere della Leonessa
Nel 1488 infine, venne così ordita la “Congiura degli Orsi” ad opera della nobile famiglia forlivese: Girolamo fu ucciso e Caterina venne imprigionata con i sei figli e costretta a trattare la resa dei castelli. Il castellano Tommaso Feo, che custodiva la rocca forlivese di Ravaldino, finse di essere pronto ad arrendersi a patto che la contessa fosse entrata nel castello e gli avesse consegnato di persona i documenti necessari, come concordato di nascosto con lei. Una volta entrata, l'astuta Caterina si dispose a prendere il comando del castello, non certo a consegnarlo, pur lasciando i figli in mano dei nemici. A questo punto, la storia cede il passo alla leggenda popolare che Machiavelli riporta nei suoi “Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio”. Narra che, quando i congiurati avevano ormai montato fuori da Ravaldino le forche a cui avrebbero impiccato i suoi famigliari, Caterina, per mostrarsi incurante, abbia sollevato le gonne e mostrato i genitali, sfidando gli Orsi ad uccidere i suoi figli dal momento che aveva ancora con sè lo strumento per farne altri. Ad ogni modo gli Orsi furono costretti ad arrendersi e a lasciare la città. Sui conguirati si scatenò la vendetta della Signora, che fece radere al suolo le loro case e giustiziare i colpevoli ed i loro complici.
Ben presto un nuovo amore l'accese: questa volta il legame era dettato dalla passione e dall’attrazione fisica, non certo dall’interesse politico.
Infatti, il nuovo oggetto dell’amore di Caterina era il fratello ventenne del fedelissimo castellano Tommaso Feo, Giacomo, che da stalliere si trovò in un batter d’occhio ad essere lui stesso castellano e “capitano e signore di Forlì e del territorio”. Con lui si sposò in segreto ed ebbe anche un figlio, il settimo, nel 1490.
Nuove guerre in Italia e la seconda congiura
Nella situazione di instabilità di fine XV secolo, Ludovico il Moro, duca di Milano, cercò l’appoggio della Francia di Carlo VIII, intenzionato a calare in Italia per rivendicare il regno di Napoli.
Si delinearono così due schieramenti: alla Francia e al Ducato di Milano si contrapponevano la Spagna, che era in possesso del regno di Napoli, e Firenze, mentre Venezia e lo Stato Pontificio attendevano il corso degli eventi prima di schierarsi. In questa delicatissima situazione, Caterina non sapeva se prendere le parti dello zio Ludovico Sforza, oppure se accontentare la simpatia di Giacomo per Firenze e appoggiare i Medici.
Stretta tra i due eserciti nemici che avanzano lungo la via Emilia, Caterina alla fine si schierò con i francesi, che di lì a poco vinsero la guerra e Carlo VII divenne Re di Napoli.
A Forlì però la calma non potè durare a lungo: Giacomo spadroneggiava in città e Caterina lo difendeva da ogni accusa, quindi ormai il popolo parteggiava per il sedicenne primogenito Ottaviano, che rappresentava il diritto dei Riario di governare la Signoria: così nel 1495 Giacomo Feo venne fatto uccidere dai figli di Caterina.
Questa volta l'ira di Caterina fu terribile: si parla di 34 uccisioni, tra cui 12 bambini, nei rastrellamenti alla ricerca dei congurati, mentre l'ostilità del popolo cresceva e la carestia flagellava la popolazione.
L’ultimo amore di Caterina e lo scontro con il Valentino
Poi, nel 1496 si recò a Forlì il fiorentino Giovanni de’ Medici: giovane, bello e colto Giovanni riuscì ad infiammare ancora una volta il cuore di Caterina. Dalla loro unione nacque un figlio, Ludovico, che assumerà il nome di Giovanni alla morte del padre e l’appellativo “dalle Bande Nere” quando diventerà un celebre e rispettato capitano di ventura.
Anche questo amore fu breve, poichè Giovanni morì nel 1498, mentre l'astro di Caterina volgeva al termine.
Comparve infatti sulla scena politica italiana la torbida figura di Cesare Borgia, detto Valentino, ambiziosissimo figlio di papa Alessandro VI. Nominato nuovo vicario di Imola e Forlì, nel novembre del 1499, il Valentino prese possesso di Imola: gli vennero spalancate le porte della città e la rocca venne conquistata, dopo due settimane di assedio.
Neppure la strenua difesa della rocca di Forlì ebbe successo per quanto la difesa della rocca di Ravaldino sia forse l’impresa più coraggiosa e più nota attuata da Caterina: nonostante l’esercito numeroso e ben equipaggiato dei francesi le lasciasse pochissime speranze di vittoria, rifiutò qualsiasi compromesso e qualunque offerta di resa,
Dopo giorni di ininterrotti cannoneggiamenti, gli attaccanti riuscirono infine a far crollare una parte del muro e a penetrare nel castello.
I francesi massacrarono senza difficoltà gli eroici difensori: a Caterina non rimase altra possibilità che la resa.
Gli ultimi anni
Caterina fu così trasferita a Roma e incarcerata nei sotterranei di Castel Sant’Angelo, dove trascorse un anno di solitudine e abbandono, per essere poi liberata e condotta a Firenze.
In questi anni, si dedicò a crescere il più piccolo dei suoi figli, Giovanni, che amava particolarmente perchè pareva custodire in sè la bellezza e le doti del padre Giovanni de’ Medici e suoi.
La salute di Caterina, ammalata da molti anni di febbri malariche e indebolita dalla permanenza nel carcere di Castel Sant’Angelo, peggiorò rapidamente nel 1509, a causa di una malattia ai polmoni.
Morì il 28 maggio, a 46 anni, dopo aver ridistribuito equamente i propri beni tra i figli ed aver elargito munifiche offerte a conventi e chiese. Venne sepolta senza lapide, come aveva richiesto, nel monastero di Santa Maria delle Murate a Firenze.
Così terminò la vicenda terrena di Caterina e ancora oggi la sua figura, tra luci ed ombre, è un esempio di donna che ha saputo affrontare ciò che la sorte aveva in serbo per lei con la forza e l’ardore di una Leonessa.